Il soffio, vitale, è il caso di dirlo, del titolo è quello che tenta di infondere ad un condannato a morte una giovane artista. Apprende dalla televisione, lei che vive una difficile relazione coniugale, che il prigioniero ha tentato più volte il suicidio, gli rende visita, improvvisa per lui degli sketch musicali, incolla ai muri della sala riservata alle visite mosaici di carte colorate che possano in qualche modo anticipargli tinte di primavera, estate, autunno… Tinte che, come sappiamo, il regista coreano possiede così bene; e gli permettono un apologo intelligente, certamente insolito, oltre che piuttosto sottolineato. Di testa, anche se è di cuore che parla. Analitico, nel suo affidarsi alle immagini tralasciando in pratica le parole, più che commosso: a somiglianza dell'osservazione attraverso la videosorveglianza che gli addetti alla sicurezza fanno di quello strano avvenimento.

Pure un po' esile, se pensiamo al Kim Ki-duk privilegiato dai festival (e questo era regolarmente a Cannes quest'anno) che qualche anno fa creava l'affresco sontuoso di cui sopra; o un capolavoro di lievità poetica, di evasione nel fantastico dalla realtà urbana come FERRO 3 - LA CASA VUOTA, al quale questo SOFFIO in parte si riconduce. Ma questo, di film, lo gira (come ormai succede anche ai nomi affermati nell'affannosa ricerca di una continuità professionale; e il nostro ne ha girati undici negli ultimi sette anni…) nella miseria, pure istruttiva di dieci giorni, e con 300'000 dollari. Che sia allora composta da episodi minimi o più eclatanti, nella sua impressionante prolificità la carriera del nostro si costruisce comunque su una coerenza tematica che merita più che rispetto. L'osservazione degli infiniti tragitti che conducono all'amore, la passione, ma pure il crimine, l'ascesi mistica, ma anche la sessualità, il surreale ed eventualmente il poetico, ma osando il rifiuto delle regole fino alla violenza.